Intervista a Sabina Moretti, autrice del romanzo “Il tempo del tamburo”.
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07/12/2022 | Bookpress
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Sabina Moretti è nata a Roma nel 1960. Violinista di professione, dal 1983 è docente di violino presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Ha pubblicato i romanzi “La famiglia Zulu” e “Il tempo del tamburo” e le raccolte di racconti “In crescendo... dal silenzio” e “I solitari”.
«Ci presenta la sua opera di narrativa storica “Il tempo del tamburo”?»
Lo si può definire un romanzo storico ambientato nella preistoria. In realtà è complicato collocarlo sotto una precisa etichetta. Questo aspetto ha reso più difficile individuare un preciso pubblico di lettori, perché non si sa mai come presentarlo. Posso dire che è un romanzo con una storia inventata, con un'ambientazione studiata, che indaga sulla vita degli esseri umani prima della storia documentata da atti scritti.
«L'ambientazione temporale del suo romanzo è stata una scelta molto particolare: ci troviamo infatti nella preistoria, a cavallo tra il mesolitico e il neolitico, 10.000 anni prima dell'avvento di Cristo. Dalla sua opera: “A quell'epoca l'umanità raccoglieva i frutti spontanei della natura, cacciava grandi prede e per costruire ciò di cui aveva bisogno utilizzava la pietra e il legno. Non c'erano città, paesi o palazzi, ma uomini e donne vivevano in piccole tribù disperse nei territori. La vita, semplice e pericolosa, scorreva lenta al ritmo dei tamburi. Era l'età della pietra di mezzo”. Quali sono stati i motivi che l'hanno spinta a trattare di questo momento di passaggio tra le due età preistoriche?»
I motivi della creatività sono di difficile definizione. Posso dire che mente mi aggiornavo leggendo saggi di antropologia, argomento che amo molto, è sorto il desiderio di indagare sul passato umano attraverso un racconto. Capisco che può sembrare strano, ma mi piace molto leggere saggistica e spesso la mia creatività nasce da queste letture. La domanda che mi sono rivolta è stata questa: cosa facevano, come vivevano, chi erano le donne della preistoria?
«Benché il suo romanzo sia raccontato da più voci, che in prima persona offrono la loro versione dei fatti, la vera protagonista dell'opera è Hay, che conosciamo bambina e poi la seguiamo mentre diventa donna, madre e sciamana. A differenza degli uomini e delle donne della sua tribù, Hay non è scura di carnagione, capelli e occhi ma, anzi, ha la pelle chiara, i capelli rossi e gli occhi eterocromi: uno verde e l'altro blu. Vuole raccontarci qualcosa di più sulla sua intensa protagonista?»
Per parlare del suo aspetto che rende Hay diversa dagli altri, la scelta è stata precisa: Hay rappresenta gli homo sapiens che stanno già variando i loro tratti somatici, perché nati da incroci di stirpi differenti. L'argomento è molto delicato. L'homo sapiens originario aveva colori scuri che nei millenni si sono “stinti”. Non si tratta del concetto di razza, siamo tutti H.S., ma della differenziazione delle stirpi che si stava attuando. Posso dire che Hay, in quanto figlia di un gruppo umano che veniva dal nord -il racconto mitico che viene riportato nel romanzo-, potrebbe essere figlia di una stirpe di H.S e di H. di Neanderthal e/o anche altro. In seguito, nel racconto, descriverò personaggi simili a lei, ma di aspetto più rude.
In quanto 'diversa' dai gruppi tribali nei quali si trova a vivere, Hay sviluppa fin da piccola un forte istinto di sopravvivenza e anche di egoismo. Ma possiede viva la capacità umana originaria di essere in contatto con la Natura, di sentirsene parte attiva. Questa è la sua maggior qualità.
«Parte del racconto verte sulla costruzione di due templi megalitici alle pendici del monte Urartu - antico nome dell'Ararat, a cui diverse tribù hanno contribuito per anni, e si sono quindi incontrate e hanno condiviso il territorio e le loro usanze. Quali ricerche antropologiche e archeologiche ha compiuto per narrare questa parte della storia?»
Grazie per la domanda. Per l'aspetto antropologico cito solo i testi 'Armi, acciaio e malattie' di Jared Diamond e 'Da animali a dèi' di Yuval Noah Harary. Ma ce ne sono molti altri, anche di carattere specifico per singoli argomenti. Per l'aspetto archeologico mi sono ispirata al sito di Göbekli Tepe, nel sud della Turchia. Il primo scavo è dell'archeologo Klaus Schmidt che ha raccolto il diario del suo lavoro nel libro 'Costruirono i primi templi', edito da Oltre Edizioni. Ho letto due volte questo diario, non sono ancora potuta andare a visitare il sito, ma spero di andarci in futuro. Nel web si trovano dei reportage fotografici del sito bellissimi, soprattutto pensando a quando sono stati costruiti i templi: prima dei Sumeri, dei Babilonesi o degli Egiziani. Questa scoperta ha rivoluzionato la narrazione storica che siamo soliti tramandarci. Mentre ragionavo sul mio racconto, e svolgevo le mie ricerche su dove collocarlo come luogo, quando ho scoperto Göbekli Tepe ho concepito la storia. Pur sapendo che poteva essere un azzardo letterario, non ho potuto resistere al desiderio di scriverla. La mia ambientazione è ispirata al sito archeologico, non si svolge in quel posto: per motivi drammaturgici e simbolici, e anche per non fare un 'copiato', ho localizzato il racconto alle falde del monte Ararat -utilizzando l'antico nome di Urartu- la dove nasce l'Eufrate.
«Nell'opera vi è una profonda riflessione sulle radici della donna nella Storia umana. In particolare, cerca di rispondere alla domanda su come vivevano le donne prima della storia documentata, e quale valore rivestivano per le loro tribù. Lei ha affermato che il suo romanzo “è un racconto di come le donne hanno partecipato alla rivoluzione neolitica”: vorrebbe spiegarci cosa intende?»
Rispondo con molto piacere! A seguito della scoperta archeologica di Göbekli Tepe, gli studi antropologici hanno dovuto ricollocare, retrodatandola, la datazione del neolitico, rivisitare la modalità di come è nata la domesticazione del grano e di altre piante, e la nascita delle prime realtà umane stanziali e non più solo cercatrici di cibo. In tutto questo si è anche capito che 'La preistoria è donna'. Questo è il titolo di un saggio di antropologia della studiosa Marylène Patou-Mathis uscito in Italia lo scorso 2021 edito da Giunti. Il testo conferma quanto avevo appena narrato nel mio romanzo: ovvero che le donne che curavano la raccolta del cibo hanno per prime interagito nell'azione diretta della domesticazione del mondo vegetale e inoltre, essendo esse stesse destinate a spostarsi tra varie tribù, sono state il veicolo non solo di varietà genetica, ma anche di cultura: sono state il cuore pulsante dello sviluppo della storia umana.
«Rimanendo sul tema della rivoluzione neolitica, ecco una citazione dal suo romanzo: “Non ti accorgi di come stanno cambiando le cose intorno a noi, tu vuoi che tutto resti sempre uguale, ma non è così. Non cambiano forse le stagioni o le stelle nel cielo?”. Nell'opera possiamo osservare le prime trasformazioni sociali ed emotive all'interno delle tribù: dalla scoperta dei sentimenti d'amore e di appartenenza alla possibilità di superare culti vetusti, per abbracciare nuove ritualità. Vuole parlarcene più nel dettaglio?»
Il mio desiderio è stato indagare attraverso la narrazione cosa può, sottolineo può, essere accaduto nel momento in cui la società umana da piccoli gruppi si è fermata in un luogo stanziale e ha costituito gruppi umani più ampi. È stato studiato che una tribù può al massimo raggiungere il numero di 150 individui, tra adulti e bambini; oltre questo numero non è possibile conoscersi con fiducia. Occorre introdurre un elemento esterno, nuovo, che vada oltre il riconoscersi de visu. Le tribù avevano istituito riti reciproci, come narro all'inizio del romanzo, ma non significava ancora essere solidali: anzi il contrario, vigeva la diffidenza dell'altro, lo sconosciuto. Quando più tribù si sono riunite, ipotizziamo sei mesi, le stagioni calde, per partecipare ad un evento storico come quello di costruire edifici megalitici utilizzando mezzi essenziali, in primis la mera forza fisica umana, è necessariamente cambiato tutto. devono aver creato nuove parole per descrivere nuove situazioni sia materiali, sia astratte che esistenziali. Nel ricollocare ciò che si conosce, si deve far spazio al nuovo. Il nuovo sono anche le emozioni e i sentimenti che si sviluppano in modo più consapevole e che necessitano di nuove parole per definirli. Nel romanzo ipotizzo che il sentimento, al momento non identificato, di Gnu per la bambina Hay, viene definito con la parola Padre. Che non significa essere il genitore biologico, perché l'umanità non sapeva perché nascevano i bambini, era un fatto naturale e magico al tempo stesso. Padre è colui che ama un bambino/a con un sentimento specifico e direzionato a quel bambino/a. Nell'antica Roma i figli venivano riconosciuti con l'imprimatur della mano sulla testa del figlio o venivano adottati e riconosciuti come propri figli con atti legali: uno per tutti Cesare che adotta Bruto. Ho voluto proporre una rilettura in senso umanistico del termine padre e non in senso di possesso.
«È al lavoro su un nuovo progetto letterario? Pensa di continuare la storia di Hay o si sposterà su nuovi argomenti, personaggi e dimensioni temporali?»
Per quanto riguarda il personaggio di Hay, non ho pensato a un seguito, ma non è la prima volta che mi viene suggerito. Posso pensarci, magari se non proprio lo stesso personaggio, a un'ambientazione storica neolitica. Mi dica lei se potrebbe interessare! Per il futuro ho già un romanzo in via di completamento, che penso uscirà nella primavera del 2023. Si svolge in una ambientazione distopica, ma senza tecnologia. Il titolo è 'Roma.Zero'. Ho in mente anche un progetto futuro di romanzo, ma vorrei anche dedicarmi di nuovo ai racconti brevi, che amo molto scrivere.
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«Ci presenta la sua opera di narrativa storica “Il tempo del tamburo”?»
Lo si può definire un romanzo storico ambientato nella preistoria. In realtà è complicato collocarlo sotto una precisa etichetta. Questo aspetto ha reso più difficile individuare un preciso pubblico di lettori, perché non si sa mai come presentarlo. Posso dire che è un romanzo con una storia inventata, con un'ambientazione studiata, che indaga sulla vita degli esseri umani prima della storia documentata da atti scritti.
«L'ambientazione temporale del suo romanzo è stata una scelta molto particolare: ci troviamo infatti nella preistoria, a cavallo tra il mesolitico e il neolitico, 10.000 anni prima dell'avvento di Cristo. Dalla sua opera: “A quell'epoca l'umanità raccoglieva i frutti spontanei della natura, cacciava grandi prede e per costruire ciò di cui aveva bisogno utilizzava la pietra e il legno. Non c'erano città, paesi o palazzi, ma uomini e donne vivevano in piccole tribù disperse nei territori. La vita, semplice e pericolosa, scorreva lenta al ritmo dei tamburi. Era l'età della pietra di mezzo”. Quali sono stati i motivi che l'hanno spinta a trattare di questo momento di passaggio tra le due età preistoriche?»
I motivi della creatività sono di difficile definizione. Posso dire che mente mi aggiornavo leggendo saggi di antropologia, argomento che amo molto, è sorto il desiderio di indagare sul passato umano attraverso un racconto. Capisco che può sembrare strano, ma mi piace molto leggere saggistica e spesso la mia creatività nasce da queste letture. La domanda che mi sono rivolta è stata questa: cosa facevano, come vivevano, chi erano le donne della preistoria?
«Benché il suo romanzo sia raccontato da più voci, che in prima persona offrono la loro versione dei fatti, la vera protagonista dell'opera è Hay, che conosciamo bambina e poi la seguiamo mentre diventa donna, madre e sciamana. A differenza degli uomini e delle donne della sua tribù, Hay non è scura di carnagione, capelli e occhi ma, anzi, ha la pelle chiara, i capelli rossi e gli occhi eterocromi: uno verde e l'altro blu. Vuole raccontarci qualcosa di più sulla sua intensa protagonista?»
Per parlare del suo aspetto che rende Hay diversa dagli altri, la scelta è stata precisa: Hay rappresenta gli homo sapiens che stanno già variando i loro tratti somatici, perché nati da incroci di stirpi differenti. L'argomento è molto delicato. L'homo sapiens originario aveva colori scuri che nei millenni si sono “stinti”. Non si tratta del concetto di razza, siamo tutti H.S., ma della differenziazione delle stirpi che si stava attuando. Posso dire che Hay, in quanto figlia di un gruppo umano che veniva dal nord -il racconto mitico che viene riportato nel romanzo-, potrebbe essere figlia di una stirpe di H.S e di H. di Neanderthal e/o anche altro. In seguito, nel racconto, descriverò personaggi simili a lei, ma di aspetto più rude.
In quanto 'diversa' dai gruppi tribali nei quali si trova a vivere, Hay sviluppa fin da piccola un forte istinto di sopravvivenza e anche di egoismo. Ma possiede viva la capacità umana originaria di essere in contatto con la Natura, di sentirsene parte attiva. Questa è la sua maggior qualità.
«Parte del racconto verte sulla costruzione di due templi megalitici alle pendici del monte Urartu - antico nome dell'Ararat, a cui diverse tribù hanno contribuito per anni, e si sono quindi incontrate e hanno condiviso il territorio e le loro usanze. Quali ricerche antropologiche e archeologiche ha compiuto per narrare questa parte della storia?»
Grazie per la domanda. Per l'aspetto antropologico cito solo i testi 'Armi, acciaio e malattie' di Jared Diamond e 'Da animali a dèi' di Yuval Noah Harary. Ma ce ne sono molti altri, anche di carattere specifico per singoli argomenti. Per l'aspetto archeologico mi sono ispirata al sito di Göbekli Tepe, nel sud della Turchia. Il primo scavo è dell'archeologo Klaus Schmidt che ha raccolto il diario del suo lavoro nel libro 'Costruirono i primi templi', edito da Oltre Edizioni. Ho letto due volte questo diario, non sono ancora potuta andare a visitare il sito, ma spero di andarci in futuro. Nel web si trovano dei reportage fotografici del sito bellissimi, soprattutto pensando a quando sono stati costruiti i templi: prima dei Sumeri, dei Babilonesi o degli Egiziani. Questa scoperta ha rivoluzionato la narrazione storica che siamo soliti tramandarci. Mentre ragionavo sul mio racconto, e svolgevo le mie ricerche su dove collocarlo come luogo, quando ho scoperto Göbekli Tepe ho concepito la storia. Pur sapendo che poteva essere un azzardo letterario, non ho potuto resistere al desiderio di scriverla. La mia ambientazione è ispirata al sito archeologico, non si svolge in quel posto: per motivi drammaturgici e simbolici, e anche per non fare un 'copiato', ho localizzato il racconto alle falde del monte Ararat -utilizzando l'antico nome di Urartu- la dove nasce l'Eufrate.
«Nell'opera vi è una profonda riflessione sulle radici della donna nella Storia umana. In particolare, cerca di rispondere alla domanda su come vivevano le donne prima della storia documentata, e quale valore rivestivano per le loro tribù. Lei ha affermato che il suo romanzo “è un racconto di come le donne hanno partecipato alla rivoluzione neolitica”: vorrebbe spiegarci cosa intende?»
Rispondo con molto piacere! A seguito della scoperta archeologica di Göbekli Tepe, gli studi antropologici hanno dovuto ricollocare, retrodatandola, la datazione del neolitico, rivisitare la modalità di come è nata la domesticazione del grano e di altre piante, e la nascita delle prime realtà umane stanziali e non più solo cercatrici di cibo. In tutto questo si è anche capito che 'La preistoria è donna'. Questo è il titolo di un saggio di antropologia della studiosa Marylène Patou-Mathis uscito in Italia lo scorso 2021 edito da Giunti. Il testo conferma quanto avevo appena narrato nel mio romanzo: ovvero che le donne che curavano la raccolta del cibo hanno per prime interagito nell'azione diretta della domesticazione del mondo vegetale e inoltre, essendo esse stesse destinate a spostarsi tra varie tribù, sono state il veicolo non solo di varietà genetica, ma anche di cultura: sono state il cuore pulsante dello sviluppo della storia umana.
«Rimanendo sul tema della rivoluzione neolitica, ecco una citazione dal suo romanzo: “Non ti accorgi di come stanno cambiando le cose intorno a noi, tu vuoi che tutto resti sempre uguale, ma non è così. Non cambiano forse le stagioni o le stelle nel cielo?”. Nell'opera possiamo osservare le prime trasformazioni sociali ed emotive all'interno delle tribù: dalla scoperta dei sentimenti d'amore e di appartenenza alla possibilità di superare culti vetusti, per abbracciare nuove ritualità. Vuole parlarcene più nel dettaglio?»
Il mio desiderio è stato indagare attraverso la narrazione cosa può, sottolineo può, essere accaduto nel momento in cui la società umana da piccoli gruppi si è fermata in un luogo stanziale e ha costituito gruppi umani più ampi. È stato studiato che una tribù può al massimo raggiungere il numero di 150 individui, tra adulti e bambini; oltre questo numero non è possibile conoscersi con fiducia. Occorre introdurre un elemento esterno, nuovo, che vada oltre il riconoscersi de visu. Le tribù avevano istituito riti reciproci, come narro all'inizio del romanzo, ma non significava ancora essere solidali: anzi il contrario, vigeva la diffidenza dell'altro, lo sconosciuto. Quando più tribù si sono riunite, ipotizziamo sei mesi, le stagioni calde, per partecipare ad un evento storico come quello di costruire edifici megalitici utilizzando mezzi essenziali, in primis la mera forza fisica umana, è necessariamente cambiato tutto. devono aver creato nuove parole per descrivere nuove situazioni sia materiali, sia astratte che esistenziali. Nel ricollocare ciò che si conosce, si deve far spazio al nuovo. Il nuovo sono anche le emozioni e i sentimenti che si sviluppano in modo più consapevole e che necessitano di nuove parole per definirli. Nel romanzo ipotizzo che il sentimento, al momento non identificato, di Gnu per la bambina Hay, viene definito con la parola Padre. Che non significa essere il genitore biologico, perché l'umanità non sapeva perché nascevano i bambini, era un fatto naturale e magico al tempo stesso. Padre è colui che ama un bambino/a con un sentimento specifico e direzionato a quel bambino/a. Nell'antica Roma i figli venivano riconosciuti con l'imprimatur della mano sulla testa del figlio o venivano adottati e riconosciuti come propri figli con atti legali: uno per tutti Cesare che adotta Bruto. Ho voluto proporre una rilettura in senso umanistico del termine padre e non in senso di possesso.
«È al lavoro su un nuovo progetto letterario? Pensa di continuare la storia di Hay o si sposterà su nuovi argomenti, personaggi e dimensioni temporali?»
Per quanto riguarda il personaggio di Hay, non ho pensato a un seguito, ma non è la prima volta che mi viene suggerito. Posso pensarci, magari se non proprio lo stesso personaggio, a un'ambientazione storica neolitica. Mi dica lei se potrebbe interessare! Per il futuro ho già un romanzo in via di completamento, che penso uscirà nella primavera del 2023. Si svolge in una ambientazione distopica, ma senza tecnologia. Il titolo è 'Roma.Zero'. Ho in mente anche un progetto futuro di romanzo, ma vorrei anche dedicarmi di nuovo ai racconti brevi, che amo molto scrivere.
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